Già attivi 37 corsi di laurea all’insegna della sostenibilità, tra nuove professioni green ed evoluzione di quelle tradizionali. Italia al top in Europa per addetti nel settore dell’economia circolare.
Le professioni “green” sono entrate a pieno titolo nell’orbita delle università italiane, sempre più attente alla formazione di nuove – e nuovissime – figure professionali. Solo nell’ultimo anno sono stati attivati 9 corsi di laurea, portando a 37 il numero complessivo dei percorsi accademici, mentre ce ne sono altri 22 in approvazione da parte del Consiglio universitario nazionale. Tra questi, ad esempio, troviamo la la laurea in Law, Digital Innovation e Sustainability che la Luiss di Roma si prepara a istituire e che sancisce l’approdo dello sviluppo sostenibile anche nelle discipline giuridiche. Lo sviluppo sostenibile compare anche nell’offerta di formazione post universitaria, annoverando un executive master di II livello in Circular Economy Management che prepara professionisti in grado di operare nei mercati della gestione dei prodotti a fine vita, dell’avvio a riciclo, del risparmio energetico, della mobilità sostenibile. Oppure un master di I livello in EU Trade & Climate Diplomacy che si concentra su come partecipare alla politica commerciale, climatica e ai negoziati tra l’Europa e le altre potenze geopolitiche.
Da segnalare un master di I livello in Green management, energy and corporate social responsibility che affronta la sostenibilità ambientale con tanta attenzione a economia, finanza e management. Approccio interessante, poi, quello dall School Of Management del Politecnico di Milano. Dove, anziché offrire master esplicitamente orientati alla sostenibilità, si preferisce contaminare in questa direzione tutti i corsi post universitari. In attesa degli 8 corsi executive education della durata di due giorni dedicati proprio alla sostenibilità che saranno lanciati a breve. Assistiamo ad un crescente fermento nel mondo accademico, in risposta ad esigenze del mercato che, per andare incontro all’economia sostenibile, trasforma alcune delle vecchie professioni (agronomo, biologo, geologo, consulente del lavoro, ecc.) e ne crea di nuove.
Nella sfera dei servizi professionali spuntano, ad esempio, il consulente ‘Corporate social responsability’, oppure il nuovissimo ‘Eco avvocato’ e ancora il consulente ‘enviromental, social and governance’, vale a dire l’esperto in investimenti sostenibili e responsabili in chiave ambientale e sociale. Nell’ambito della pianificazione e dello sviluppo urbano, invece, si fanno sempre più spazio il mobility manager oppure l’originatore di impianti di energia rinnovabile (colui che avvia il processo per la realizazione di un impianto). Nell’industria la figura professionale ormai più radicata è quella dell’energy manager, ovvero l’esperto che si occupa della verifica, del monitoraggio e dell’ottimizzazione dell’uso dell’energia. Promuove azioni volte a un aumento dell’efficienza, al contenimento degli sprechi e/o all’uso di fonti rinnovabili. L’energy manager opera all’interno delle aziende o degli enti pubblici o privati. Nel caso di organizzazioni complesse, l’energy manager è di norma un dirigente interno. Per le piccole realtà è spesso un consulente esterno. La figura professionale è un obbligo per le realtà ritenute “grandi consumatrici” di energia. La laurea alla base di questa figura professionale è quella in ingegneria. Diversi i corsi che, pur non essendo obbligatori, aiutano il professionista ad acquisire le competenze tecniche e le conoscenze teoriche e attestano le capacità.
Sempre difficile, infine, quantificare il fabbisogno dei nuovi lavori: basti pensare, però, che in Italia nei settori del riciclo, della riparazione e del riutilizzo sono oltre 510mila le persone occupate. Nella Ue, nel 2016, gli addetti all’economia circolare erano 3,9 milioni e il nostro Paese era al secondo posto dopo la Germania.